L’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu è morto a Città del Capo lo scorso 26 dicembre all’età di 90 anni dopo una lunga malattia. Scompare una grande figura del mondo sudafricano, paladino dei diritti civili che contribuì concretamente alla fine del terribile periodo dell’apartheid nel proprio paese.
Eletto Premio Nobel per la Pace nel 1984, divenne prima vescovo della chiesa Anglicana di Johannesburg e nel 1986 divenne arcivescovo di Città del Capo predicando con grande forza il suo pensiero contro l’apartheid. Le sue grandi qualità di oratore e il suo coraggio hanno fatto di lui una figura fondamentale nel superamento di questo periodo in Sudafrica. Fu lui ad ideare e guidare la Commissione per la Verità e la Riconciliazione che indagò sulle atrocità commesse in quegli anni concedendo il perdono agli autori dei crimini che avevano scelto di confessare le loro responsabilità.
Successivamente Desmond Tutu si scagliò anche contro le ipocrisie e la corruzione del nuovo regime post-apartheid denunciandone il nepotismo, la corruzione, le nuove disuguaglianze ed il rinnegamento degli ideali. Fino a che, nel 2013, annunciò che non avrebbe più votato per l’African National Congress (il partito che aveva avuto per tanti anni come leader Nelson Mandela).
Desmond Tutu era soprannominato The Arch, abbreviazione di Archbishop, l’arcivescovo.
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Per il suo Paese coniò l’espressione Rainbow Nation (“nazione arcobaleno”), riferendosi all’ideale delle convivenza pacifica fra le diverse etnie del Sudafrica. Nelson Mandela si ispirò ad essa, quando fu eletto presidente, facendola divenire parte fondamentale della cultura nazionale sudafricana.
Desmond Tutu fu in prima fila anche contro l’omofobia ed il sessismo, dichiarando di essere favorevole all’eutanasia.
La morte dell’arcivescovo sudafricano ha generato un’ondata di profonda tristezza nel Paese. Il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa ha dichiarato che la sua scomparsa “è un altro capitolo del lutto nell’addio della nostra nazione a una generazione di eccezionali sudafricani che ci hanno lasciato in eredità un Sudafrica liberato”.